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lunedì 2 febbraio 2009

COMMANDOS MONTEVERDE e EAGLES SUPPORTERS Lazio

CLM Commandos Monteverde 1971 e Eagles Supporters con la Lazio più grande della storia, il grande volo dell'Aquila: quella del 1974 e poi il declino e gli anni  in serie B...



SS LAZIO 1973-74. Negli anni di piombo delle contestazioni si strada, della lotta operaia, delle Brigate Rosse e del terrorismo nero.
La grande Lazio di Tommaso Magistrelli, quella dei calciatori banditi con la pistola facile, la passione per le armi, la simpatia per il Movimento Sociale di Giorgio Almirante.
Uno spogliatoio spaccato in due con attriti e mega risse fra il gruppo di Giorgio Chinaglia e quello di Luigi Martini.
Una spaccatura che si risanava ogni domenica grazie soprattutto a Maestrelli tecnico saggio e capace ...e la Lazio volava. I derby della Capitale contro la Roma dei "rossi".
La classe di Frustalupi, il talento di D'Amico, i gol di Giorgio Chinaglia, Garlaschelli da Vidigulfo corsa, night e belle auto, il fosforo di Re Cecconi, i baluardi Wilson e Petrelli, Nanni e Franzoni. LAZIO CAMPIONE D'ITALIA!
Lazio '73 - '74 Romanzo Criminale
Portavano la pistola sotto il cappotto, votavano fascista e scatenavano risse ovunque passassero. Queste « bestie » pero’ vinsero il primo scudetto della storia della Lazio nel 1974. Prima di sparire nella natura velocemente come erano arrivati. Quasi un riassunto degli anni settanta italiani.
Una serata come un’altra nella vita di Sergio Petrelli. Sta cenando al ristorante dell’Hotel L’Americana, fa un giro al bar, risale in camera, guarda la notte che scende. Sdraiato sul letto, il giovane italiano giochicchia con la sua pistola, una 44 Magnum. Mette e toglie le pallottole, mira per scherzo alle due finestre, lo specchio, il comodino. Poi spara contro il lampadario, e si addormenta. « Troppo stanco per alzarmi e utilizzare l’interruttore », spiega il giorno dopo alle donne di servizio sorprese, prima di andarsene a fare colazione. Quando non spara ai lampadari, Sergio Petrelli é il terzino destro titolare della Lazio. Una squadra dove portare una pistola nella fondina sotto il cappotto é normale come correre sulla fascia laterale o tirare in porta. « La società ci imponeva dei lunghi ritiri dal venerdi’ al lunedi’. Ci mettevano in questo hotel in aperta campagna, lontano da Roma, senza niente intorno. Allora i giocatori portavano la loro pistola e ammazzavano il tempo sparando alle bottiglie vuote, i lampioni e qualche volta agli uccelli », ricorda Luigi Martini, uno dei pochi che non portava la pistola.
La domenica, pero’, sul prato verde, i « cow boys » si trasformavano in calciatori irriducibili.
Risaliti dalla serie B alla serie A nel 72, la stagione seguente offrirono ai tifosi biancocelesti il loro primo scudetto. Prima la Lazio, con 43 punti. Seconda la Juventus, 41. E ancora più godurioso : ottava la roma con la miseria di 29 punti.
Per capire bene come un’equipe di sconosciuti appena promossi, senza nessuna star o quasi, possa arrivare a mettere in scacco le migliori squadre italiane in cosi’ poco tempo, bisogna cercare di conoscere un uomo : Tommaso Maestrelli, l’allenatore. Più che l’allenatore di questa squadra, il suo dittatore, lo psicologo, uomo di fiducia. Giocatore mediocre, allenatore sconosciuto, riusci’ il suo primo grande colpo facendo promuovere il Foggia in serie A nel 1970. Sul piano tecnico, Maestrelli é anni luce lontano dal catenaccio italiano. Le sue idee sono il Brasile, l’Ungheria 1954, l’ambizione smisurata. Arrivato alla Lazio nel 1970 al posto di Lorenzo, Maestrelli decide di rivoluzionare tutto. Innanzitutto fa comprare due giocatori di grosso carattere dall’Internapoli, Giorgio Chinaglia (figlio di un ristoratore italiano emigrato a Cardiff) e Pino Wilson (figlio di un funzionario inglese dell’ONU di stanza a Napoli). I due si riveleranno due veri pazzi, capaci di seminare il terrore su tutti i campi della serie A. Poi, Maestrelli, fa arrivare Martini, Pulici, Frustalupi e infine Re Cecconi, uno strano centrocampista albino chiamato l’angelo biondo che aveva già avuto a Foggia.
Il loro obiettivo : Mettere a ferro e a fuoco lo stivale.
« All’epoca, in Italia, le squadre giocavano un football tranquillo. Noi, invece, correvamo ovunque, in ogni direzione. Avete sentito parlare del calcio totale olandese ? Ebbene, noi, lo praticavamo già, due anni prima che gli sportivi lo scoprissero durante i mondiali del 1974. Per questo, quando siamo risaliti in serie A, abbiamo sorpreso tutti quanti : nessuna squadra capiva come affrontarci ». Racconta con enfasi Felice Pulici, il portiere.
Maestrelli non é stupido, sa che per questo tipo di gioco alla « Attila », deve poter contare su un « orda di barbari » affamati. Per questo l’allenatore romano passa lunghe ore a cercare di creare un ambiente duro, detestabile, nel suo gruppo.
« Ve la faccio breve : nella squadra tutti si detestavano a vicenda. In pratica, il gruppo era diviso in due fazioni. Che non era un problema visto che gli spogliatoi erano divisi in due parti. Ed era meglio non sbagliare porta…Da una parte Chinaglia, Wilson, Oddi, Petrelli erano i giocatori più ambiziosi della squadra, i più individualisti. Dall’altra Martini, Re Cecconi, Garlaschelli erano più socievoli, meno folli. E io ? Nessuno voleva troppo mischiarsi con me, ero il portiere, quasi un corpo a parte per gli altri. » Spiega Pulici.
Simbolico della dolce atmosfera laziale : durante una trasferta a Milano contro l’Inter, Chinaglia si disinteressa del gioco, fa uno sprint rapido verso il suo compagno D’Amico e lo aggredisce con un calcio al sedere, come Cantona. Motivo ? nessun motivo, solo i nervi.
Ma il peggio accade durante gli allenamenti.
« Non facevamo quasi mai allenamenti fisici, nessuna seduta tattica, solo partitelle. Maestrelli ci provocava, aspettava che cominciassimo a insultarci negli spogliatoi, poi distribuiva i fratini ci mandava a giocare gli uni contro gli altri. Era violento, molto più che in campionato. In confronto, la domenica, ci sembrava di giocare delle partitelle amichevoli. », racconta Luigi Martini.
Nei fatti, nell’anno successivo alla promozione la Lazio si impone come lo spauracchio della serie A. In lotta per lo scudetto fino all’ultima giornata, la squadra finisce soltanto terza, grazie a una difesa di ferro e una capacità mai vista prima di intimidire gli avversari. Un giorno che la Lazio sta perdendo contro il Verona per 1 a 0 in casa, Maestrelli ordina ai suoi di restare in campo durante l’intervallo, braccia conserte, ognuno al suo posto mentre i Veronesi si riposano negli spogliatoi. Davanti a questa situazione, il pubblico impazzisce. Al ritorno in campo, i Veronesi impotenti sono letteralmente massacrati e subiscono 4 gol in 45 minuti. « Eravamo pazzi e rendevamo i tifosi pazzi » riassume Felice Pulici.
In Coppa Uefa, i laziali utilizzano la stessa ricetta. Nel novembre del 1973 il numero 11 della Lazio sfoga i nervi sui giocatori dell’Ipswich Town aggredendoli finanche nello spogliatoio, prendendo 3 anni di squalifica europea (ridotta a un anno in appello). Tre anni prima, nel 1970, i laziali si erano già scontrati con i Roastbeef (nomignolo assegnato dai francesi agli inglesi ndt), dell’Arsenal stavolta. « I dirigenti della Lazio ci avevano offerto dei borselli in cuoio, qualcuno di noi aveva trovato questo regalo un po troppo effemminato, Offeso un giocatore della Lazio prese un borsello e lo getto’ in faccia a Bob McNab, giocatore dell’Arsenal , poi gli afferro’ un orecchio e stritorarlo in ogni senso. Due minuti dopo il ristorante romano in cui ci trovavamo si era trasformato in una zona di guerra » racconta John Roberts, difensore dell’Arsenal.
Inevitabilmente, la Lazio diventa la squadra più detestata d’Italia. Bisogna dire che, oltre a fare casino sui campi di tutta Italia, molti giocatori romani, Petrelli, Chinaglia, Wilson, Petrelli, Oddi, Martini, si dichiarano pubblicamente politicamente vicini all’MSI, mentre gli altri preferiscono dichiararsi più genericamente di destra. « Avevamo il gusto della provocazione. All’epoca il PCI era la principale forza politica in Italia. Avere convinzioni diverse da quelle difese dalla sinistra era considerato quasi un tabu’. Allora quando un giornalista, in periodo elettorale, ci ha domandato per chi votavamo , gli abbiamo risposto che eravamo fascisti » spiega Luigi Martini.
Veramente divertente.
Ma vero, purtroppo.
Perché Martini non aveva soltanto il gusto della provocazione sviluppato, finita la carriera é diventato pilota di linea poi deputato dell’MSI (« ho sempre avuto un’ammirazione per i paracadutisti » racconta oggi per chiarire il suo percorso politico). Pulici, che si é ritrovato anche lui su una lista elettorale di centro-destra senza essere eletto, avanza argomenti più sociologici : « Eravamo il riflesso di un’epoca, un’epoca violenta, quasi di guerra civile. Non c’era stato in Italia un maggio 68 per far sfogare tutto questo, come voi in Francia. Da noi, negli anni 70, le posizioni si sono radicalizzate. Una lenta deriva verso l’estremismo. Bisognava scegliere da che parte stare. Quindi le pistole servivano anche per difenderci, perché avevamo paura di farci rapire dalle Brigate Rosse, che cominciavano a organizzarsi ».
Il vero pericolo rosso, in fondo, verrà dai tifosi romanisti che, la vigilia di un derby si ritroveranno sotto le finestre dell’hotel L’Americana dove i laziali sono in ritiro.
Divertiti, eccitati o fragili, non lo sappiamo, i giocatori laziali aprono il fuoco, ma non colpiscono nessuno.
Sul campo, la magia non durerà a lungo. Dopo il secondo posto del 1973, lo scudetto del 74, la Lazio scende al 5° posto nel 75, prima di rientrare nei ranghi definitivamente la stagione successiva, con un misero 13° posto.
Troppo rapidi, troppo in alto, troppo forti, i giocatori della Lazio cadono a terra cosi’ velocemente come erano saliti in alto.
« Abbiamo vinto subito, ma poco. A che pro ? Non eravamo calciatori nel senso professionista del termine. Fare il mestiere di giocatore con un’altra maglietta che quella della Lazio non ci interessava veramente », spiega Luigi Martini. Come un gruppo rock che decide di sciogliersi dopo due album formidabili, i membri della squadra si sparpagliano a grande velocità : Chinaglia parte ai Cosmos di New York per rovinare la fine della carriera di Pelé, seguito da Wilson, mentre Frustalupi passa al Cesena e Martini smette rapidamente per mettersi ai comandi di un aereo Alitalia. Per conto suo, Tommaso Maestrelli, ucciso da un tumore, porta nella tomba i suoi strani metodi di lavoro il 2 dicembre 1976, mentre la Juve cominciava a corteggiarlo. Stupida la vita a volte.
Questa maledizione originale non ha mai smesso di perseguitare i giocatori di quella squadra : Frustalupi é morto in un incidente stradale nel 1990, Wilson si é fatto sospendere per 3 anni nel 1980 in seguito allo scandalo del totonero, Chinaglia é ricercato dalla polizia per i suoi legami mafiosi, e Pulici si é ritrovato in mezzo allo scandalo dei falsi passaporti di Juan Sebatsian Veron, alla fine degli anni 90. In quanto all’ angelo biondo Re Cecconi, l’ultima cosa che vide del mondo fu una gioielleria romana. Entrato il 18 gennaio 1977 poco prima della chiusura nel negozio di Bruno Tabocchini, il biondo punta un dito nella tasca del suo giaccone e grida « mani in alto, é una rapina ! » Il tempo di fare il duro davanti ai suoi amici e di scoppiare in una risata, ha già una pallottola nello stomaco. Mezz’ora dopo era morto.
E con lui quegli strani anni 70.


Stéphane Régy


Dodici maggio 1974: il giorno in cui la Lazio vinse per la prima volta lo scudetto e gli italiani votarono il referendum sul divorzio io avevo cinque anni e mezzo, facevo gi la prima elementare e di calcio e politica non capivo assolutamente nulla.

Così non ho alcun ricordo di quel giorno cruciale che portò per la prima volta dopo la guerra lo scudetto a Roma e segnò la prima grande sconfitta della Democrazia Cristiana dall'inizio della Repubblica. Quel giorno cambi la Storia, del calcio e del Paese. Io non me ne accorsi, ma quello fu un anno formidabile. La squadra più pazza del mondo diventava campione e in Italia intanto accadeva di tutto: la crisi del petrolio e le prime domeniche a piedi che io vivevo sfrecciando sul mio monopattino azzurro, la strategia della tensione con le bombe e le stragi di Brescia e dell'Italicus, le Brigate Rosse che cominciavano l'attacco al cuore dello Stato con il rapimento del giudice Sossi, la vittoria del divorzio.
Quella Lazio io non l'ho mai vista giocare. Era una squadra di pazzi, selvaggi e sentimentali. Militanti missini, pistoleri e paracadutisti, giocatori d'azzardo e ballerini di night club. Una squadra divisa in clan, con due spogliatoi: e se qualcuno entrava nella stanza sbagliata poteva trovarsi un vetro di bottiglia sotto la gola. Durante la settimana le partitelle d'allenamento erano pi dure delle sfide di campionato, in campo volavano calci e schiaffi e si giocava finché non faceva buio perché nessuno voleva perdere. Ma la domenica, come i moschettieri, quei giocatori erano uno per tutti e tutti per uno: erano la Lazio.
Trent'anni dopo, dove sono finiti gli eroi del 1974? Tre sono morti, uno vive a New York, un altro in Cina, un altro ancora finito più volte in tribunale e una volta anche in galera. Uno fa il pilota ed entrato in Parlamento, uno si laureato, uno si risposato con una ragazza che come me aveva cinque anni quando la Lazio vinse. Un altro tornato al suo paese nella bassa Padana e vive con la sorella di quattordici anni più grande. Uno appare quasi tutti i giorni in tv, un altro stato licenziato e aspetta la chiamata giusta.
Li ho voluti conoscere tutti, tutti mi hanno raccontato la loro storia, che anche la mia e quella dell'Italia degli anni Settanta, quando la maglietta non cambiava mai colore.


TRATTO DA: "Pistole e palloni" di Guy Chiappaventi