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giovedì 20 dicembre 2018

intervista a DANILO BERTELLI

Nonni e papà allo stadio e in città amano ancora oggi raccontare le gesta sue e dell'Us Fiorenzuola di quel tempo che stava costruendo qualcosa di veramente grande. 
ESISTONO ANCORA LE BANDIERE? IN UN INTERVISTA FIUME LA STORIA DI UN BOMBER CHE HA LEGATO PER ANNI IL SUO NOME A QUELLO DELLA NOSTRA GRANDE PASSIONE: L'US FIORENZUOLA 1922
Per festeggiare i dieci anni del BLOG non potevamo avere regalo più grande…

Bertelli e il Fiorenzuola. Non basterebbe una intera enciclopedia per raccontare la storia di Danilo in maglia Rossonera. Hai voglia di raccontarci i tuoi ricordi più belli e alcuni degli aneddoti più divertenti e curiosi?
Con molto piacere. Porto ancora il ricordo di quegli anni e del Fiorenzuola nel mio cuore. E poi adoravo il bargnolino delle vostre parti. Di aneddoti ne ho davvero tanti. Potrei dire di averne almeno uno significativo per stagione. E di stagioni ne ho fatte dieci da voi.

Partiamo da dove tutto ebbe inizio: la chiamata del presidente del Fiorenzuola alla fine degli anni 70'. Come maturò il tuo passaggio in Rossonero.
Ora posso rivelarlo: io a Fiorenzuola non volevo venire. Ricordo che venne il presidente Gabriele Tosi in persona a prelevarmi. Avevo segnato una ventina di reti quell’anno in Promozione nel girone del Fiorenzuola, nelle file della Leoncelli di Vescovato mentre stavo svolgendo il militare. Quando iniziai il servizio di leva ero stato chiamato a Caserta in fanteria. Il presidente della Leoncelli mi chiamava perché alla domenica mi voleva in campo a tutti i costi, pagandomi il biglietto dell’aereo che costava sessantasei mila lire. Quando poi fui avvicinato a Verona, non ci furono più problemi, mi presentavo alla domenica senza allenamenti nelle gambe per dare una mano ai compagni in termini di gol. L’allenatore era Giacomo Mari, ex mediano della Juventus ai tempi di Piccinini e Parola (quello della rovesciata simbolo delle figurine Panini). Retrocedemmo nonostante la mia ventina di gol. Il Fiorenzuola arrivò se non sbaglio quart’ultimo. Non ero convinto di accettare la proposta del Fiorenzuola, poi Mari mi voleva piazzare all’Avellino in serie B che mi avrebbe girato in prestito per un anno in serie D al Pordenone. C’era stato anche un interessamento della Soresinese, vicino a casa. Quell’anno aveva vinto tutto: Coppa Italia e campionato, ma alla fine preferirono rinunciare a me perché avevano già l’intoccabile Nicolini in attacco. Alla fine mi convinsi a sposare la chiamata del Fiorenzuola spinto anche dai consigli di Amici e Bresciani che già giocavano in Valdarda ed erano miei inseparabili compagni di avventura nei tornei estivi.

Se la Mondadori ti chiedesse di scrivere la tua biografia come definiresti il Bertelli calciatore? Sarebbe in grado di fare gol anche nel calcio di oggi?
Ero molto opportunista, vedevo la porta alla Pippo Inzaghi per rendervi l'idea. In un tempo se toccavo tre palloni il più delle volte il primo era gol, il secondo finiva sul palo, il terzo veniva respinto con una gran parata del portiere avversario. Seppur alto di statura, non ero forte nel gioco aereo. Il mio piede era il sinistro. Ho iniziato a tirare di destro su insistenza di mister Guerrino Rossi che per punzecchiarmi diceva: “Bertelli usa solo il destro quando lo appoggia per salire sul pullman”. Ricordo che a Caorso realizzai due gol di destro e andai subito da Guerrino Rossi a farmi sentire. Penso che nel calcio di oggi avrei fatto ugualmente tanti gol, forse di più perché ai miei tempi non era vita facile per i centravanti. Gli avversari mettevano il marcatore a uomo sull’attaccante della squadra che aveva segnato di più. Erano autentici mastini che mi seguivano anche quando andavo verso la panchina per prendere la borraccia per bere. Ricordo quella volta in trasferta a Sassuolo, loro erano professionisti io feci un tunnel al mio diretto marcatore. Qualche istante più tardi il difensore mi diede una botta paurosa al limite dell’area. Ero a terra e lui sopra a intimarmi: “e non permetterti mai più di rifare una cosa simile”. Poi ricordo dell’amico-rivale Renato Villa, difensore brevilineo del Pontevico e dell’Orceana, poi chiamato a giocare in serie B nel Bologna. Non si riusciva proprio ad andargli via.

Vivevi a Casalmorano e ci si allenava alla sera. Ai tempi di oggi si studia e al pomeriggio ci si allena. Tanto per far capire che sacrifici si facevano allora, raccontaci la tua giornata a quei tempi.
Dovevo percorrere sessanta chilometri per raggiungere la vostra città, pioggia o bel tempo, nebbia o non nebbia. Raggiunta Cremona però avevo la fortuna di trovarmi sempre con qualcuno con cui andare assieme. Il primo anno eravamo in sette o otto ragazzi cremonesi. Gli allenamenti erano divisi in tre sedute settimanali con inizio alle sette o alle otto di sera. Ho avuto allenatori che facevano come Rossi sedute da un ora intensa, altri che arrivavano a due e in quel caso si faceva veramente tardi. In quegli anni lavoravo in famiglia assieme a mio padre che vendeva acqua e vini. Fino a che non comprammo un carrello elevatore era fatica ma con la passione che avevo dentro si riusciva a conciliare tutto: lavoro duro e calcio.

Infortuni. Capitolo nero nella storia di ogni calciatore…
Il primo anno a Fiorenzuola era andato molto bene. Avevo solo 21 anni e avevo messo a segno un corposo bottino di gol, tanto che il Piacenza del presidente Loschi che militava in serie C aveva messo gli occhi su di me. Decido di restare al Fiorenzuola ma arriva il primo dei due infortuni più seri che ho avuto in carriera: saltano legamenti e crociati del ginocchio. Volevo appendere le scarpe al chiodo perché allora ci si curava male. Il presidente Villa mi convinse a non smettere chiamandomi per telefono a casa. Mi portò prima a Pavia da Boni, ma lo specialista era sempre in Svizzera e i tempi si stavano allungando. Allora decise di portarmi a Novi Ligure dove operava Chiappuzzo. Il medico della Sampdoria mi rassicurò esclamando che aveva già operato cinquanta casi come il mio e che se volevo l’indomani stesso mi avrebbe messo sotto i ferri. Ingenuamente accettai anche se dopo riflettendo i cinquanta casi risolti e sventagliati dal medico ligure non erano poi così tanti nelle casistiche così complicate di un ginocchio. L’operazione del 15 luglio andò bene ma il bello doveva ancora venire. Un mese filato di gesso e riabilitazione a Salsomaggiore da Pincolini che non era ancora famoso per riprendere la condizione. Non fu facile ma con tanta forza di volontà e voglia di giocare al calcio riuscii a rimettermi in sesto.

Se non ricordo male segnasti 4 reti in una sola partita al Darfo Boario. Ricordi altre domeniche di grazia? Quali sono stati i gol più belli e importanti?

Si, nel campionato di Promozione 1981-82: Darfo-Fiorenzuola 0-4. Ricordo bene quella partita. A un certo punto il loro centravanti (forse Facchinetti?) era talmente tanto contrariato da rimproverare i suoi compagni della difesa per avermi lasciato fare 4 gol. Fra le mie marcature più importati  non posso non citare la doppietta timbrata nel big-match contro il Magenta, campionato di Promozione 1982-83. Il fondo del Comunale era innevato. Loro che erano primi in classifica insistevano per fare rinviare la gara. Noi appena dietro volevamo giocare a tutti i costi. I volontari con il magazziniere Narcisi in testa spalarono il campo per noi, disegnando le linee in rosso. Il gol del vantaggio lo realizzai io. Il raddoppio fu firmato da Petrolini. Il terzo gol è da raccontare: calcio d’angolo con la palla respinta dalla difesa che capita sui piedi di Ghiozzi (al secolo Gene Gnocchi). Gene mi servì un assist sul filo del fuorigioco. Tutta la difesa avversaria rimase ferma, io andai dritto in porta. Saltato il portiere, arrivo nei pressi della linea, mi fermo, stoppo il pallone su di essa girandomi verso la tribuna del Comunale che era strapiena e inizio a esultare come un matto con Corrado Porcari sbalordito che era corre verso di me per sbattere la palla dentro. La spingo dentro portando la squadra sul 3 a 0. Era il gol che metteva in cassaforte il nostro sorpasso alla capolista Magenta. Gli avversari erano su tutte le furie non tanto per il gol ma per il gesto. Non era nel mio carattere prendere in giro l'avversario ma quella volta mi era venuto d’istinto comportarmi in quel modo forse perché era troppo importante quella partita e volevamo dimostrare quanto valevamo. Conservo ancora gelosamente la video cassetta con quel pazzesco gol.

Dopo i primi campionati in Rossonero alla fine degli anni Settanta, in un crescendo di ambizioni si arriva a disputare gli spareggi per il salto in Interregionale annata 1980-81. Cos'era mancato a quel Fiorenzuola allenato da Guerrino Rossi per centrare il traguardo?
Era stato scelto per la guida tecnica Guerrino Rossi che aveva vinto tutto a Sant’Angelo. Il presidente Villa sognava in grande e per farlo prendeva sempre il meglio. A fine campionato arrivammo a disputare gli spareggi.Arrivammo a disputare gli spareggi. Ricordo la sfida contro il Codogno giocata nella cornice dello stadio Zini di Cremona. La gara terminò in pareggio: uno a uno. Alla fine noi ottenemmo tre pareggi e per assurdo quelli del comitato lombardo ripescarono la prima e l’ultima. La Vergiatese se non sbaglio, arrivata dietro di noi, per meriti sportivi, escludendo per assurdo noi arrivati secondi ma emiliani. Il desiderio del Fiorenzuola e della famiglia Villa in quegli anni era di vincere e arrivare a giocare nelle categorie superiori professionistiche. Negli anni precedenti alla stagione 1982-83 non riuscimmo a centrare la promozione forse perché in estate si erano fatti troppi cambiamenti alla squadra.
In quell'anno andaste forte anche in Coppa Italia, tanto che a un certo punto vi imbarcarono su un treno, destinazione Pianura, sobborgo dell’hinterland della capitale del Sud, Napoli...
Ricordo bene quell’esperienza che fu piacevole e positiva. Partiamo di martedì dalla stazione di Piacenza a mezzanotte per affrontare un viaggio che era a dir poco interminabile. Si va subito nei vagoni letto per mettersi comodi e per poi ritrovarsi a parlare. Io ero in cabina assieme a Eugenio Ghiozzi ed Erminio Ferrari. Non vi dico l’espressione di compagni e passeggeri del convoglio alla vista del “Ferro” con addosso una camicia da notte veramente improponibile. Il Fiorenzuola che mieteva successi era anche questo: un gruppo molto unito e affiatato anche fuori dal campo. La partita in trasferta contro il Pianura fu tragica fin dall’inizio. Ci avevano accompagnati a cambiarci in uno stanzino quattro per tre con la porta con chiusura a catena che aveva sopra un’apertura forse lasciata di proposito perché da li piovesse dentro di tutto. Nella gara di andata terminata uno a uno io avevo segnato il gol del vantaggio tanto che a fine partita mi avevano intimato di stare a casa il giorno della sfida decisiva di ritorno. Il terreno di gioco in terra battuta era infossato. Avevano messo dei petardi lungo tutta la fascia, con quelli più forti vicino alla nostra panchina. Le condizioni ambientali e il lungo viaggio non ci aiutarono: perdemmo 4 a 0 ma comunque è rimasto un bellissimo ricordo di quell’esperienza di Coppa Italia. Arrivare a lottare per entrare nelle ultime otto squadre della competizione. Vivemmo un’esperienza unica visitando altre zone d’Italia, mangiando una pizza a Napoli prima dell’ultimo tratto di viaggio che ci avrebbe portato a Pianura.

Erminio Ferrari, Degani, Fayer e Inverni assieme a te. I componenti cremonesi della squadra allenata da Mauro Masi che trionfò quell'anno. Quale era il segreto di quel gruppo di giocatori?
Eravamo un gruppo molto unito e affiatato. Poi sicuramente l’allenatore Mauro Masi è stato importantissimo perchè anche se veniva da una categoria inferiore portò in squadra elementi che conosceva del calibro di Ghiozzi e Petrolini. Oltretutto aveva già ottenuto altre promozioni in Interregionale. Era un esperto della categoria ed era un grande oratore, bravo a trasmettere alla squadra i suoi principi.
Primo posto, vittoria del campionato, capocannoniere del girone e di coppa Italia con circa 30 gol all’attivo. Cosa si prova in annate come quella del 1982-83?
Fu una stagione indimenticabile per me. Fu tutto magico e straordinario fino al primo allenamento post campionato. Dalla cavalcata con il testa a testa con il Magenta, ai festeggiamenti con i tifosi al termine della stagione regolare. Ricordo che pareggiamo a Castelnuovo Scrivia alla penultima, 1 a 1 con un mio gol. La domenica dopo perdiamo con il Corbetta in casa ma tutto è già scritto. Al mercoledì facciamo l’allenamento in preparazione degli spareggi. Mi entra duro un giovane e mi fa tibia e perone. A casa mi dicevano di smettere ma la voglia di giocare era più forte di tutto e l’anno dopo esordisco in serie D nel mese di dicembre in trasferta a Sommacampagna. Per la verità avevo già giocato in Coppa Italia agli inizi di novembre a Ravenna. Il primo anno di serie D del Fiorenzuola fu per me transitorio, di recupero dal grave infortunio.

Il Fiorenzuola raggiunge il suo sogno: la conquista dell’Interregionale e Bertelli è confermato nonostante sia fermo per infortunio. Incontrasti difficoltà a conciliare il lavoro alla passione del calcio?
Fatto il salto in serie D l’impegno era simile perché già in Promozione ci preparavamo e allenavamo da semiprofessionisti con l’intento di vincere il campionato. Il primo ritiro estivo lontano da Fiorenzuola e con sede a Ferriere lo saltai per infortunio. Quelli delle annate successive trascorsi sulle montagne di Parma erano vissuti con tanta dedizione da parte nostra. Qualche dubbio sulle sorprese e le difficoltà che avremmo incontrato nella nuova serie sorgevano poi puntualmente nelle amichevoli estive. Contro il Piacenza di Titta Rota per esempio, che stava un gradino più su di noi in serie C2 non avevamo visto palla, guardando negli occhi mister Masi con un po' di velata frustrazione. Anche nell’amichevole organizzata con il Parma di Arrigo Sacchi, vediamo che il loro allenatore decide di non sedere in panchina ma di andare in tribuna, con in campi i terzini Mussi e Bianchi (futuri milanisti) che andavano già a mille. Dopo il decimo anno a Fiorenzuola, il quarto anno di Interregionale con il lodigiano Jacopetti come allenatore ho avuto problemi alla schiena a causa del mio lavoro e con gli allenamenti che erano cambiati. Avevamo anche la seduta pomeridiana del giovedì. I tempi erano cambiati e decisi di smettere, lasciando Fiorenzuola. Avevo 31 anni. A Soresina non volevo giocare. Mi convinsero e disputai due campionati segnando ciascuno diciotto gol, allenandomi solo una volta alla settimana.
 
Campionato Interregionale: Fiorenzuola-Sant'Angelo 5-3. Ancora molti fiorenzuolani amano parlare di quell’incredibile impresa. Che ricordi hai di quella domenica di autunno?

Partita davvero indimenticabile. Noi giocavamo ma a fare gol erano gli avversari in contropiede. Siamo sotto per tre reti a zero e credo che il nostro gol dell’1 a 3 a un minuto dal termine del primo tempo ci ha dato il là per compiere quella memorabile rimonta. In campo nonostante i gol presi avevamo così voglia di riscattarci che addirittura Ferrari che era centrocampista metodista davanti alla difesa andò sul fondo della fascia destra per crossare quando oramai il primo tempo era agli sgoccioli. Io che di testa non segnavo mai mi tuffai spedendo la palla alle spalle del portiere barasino. Nell’intervallo, negli spogliatoi abbiamo fatto quadrato e ci siamo guardarti tutti negli occhi dicendo: adesso entriamo e li mettiamo sotto e così è stato ribaltato il risultato e compiendo quell’impresa che ancora noi e tanta gente ricorda.

E dello sfortunato big-match sette giorni dopo di Orzinuovi contro l'Orceana cosa ricordi? In quell'anno credevate al salto in serie C?
L’Orceana era una signora squadra allenata da Pasquini che conoscevo bene. Nelle file bresciane spiccavano l’amico Renato Villa che stava facendo la differenza. Un terzino che andava pure a fare gol.  Poi c’era l’attaccante cremasco Claudio Vaccario che aveva giocato nella Reggiana e che poi mi sono ritrovato più tardi con il suo banco in piazza poco distante dal mio. Per chi non lo sa Vaccario è commerciante come me. Il resto della loro squadra giocava un calcio molto aggressivo e da loro non era facile perché il campo era di dimensioni molto ridotte. Perdemmo uno a zero. Quella sconfitta ce la legammo al dito. Soprattutto Talignani. Ricordo che al ritorno, la menava a tutti già quindici, venti giorni prima: “Stavolta a Villa gli faccio vedere io”. E durante la gara dopo venti minuti Villa chiede di essere sostituito per infortunio forse per evitare una figuraccia. Talignani era scatenato. Realizzò le due reti della gara. Eravamo all’inizio, non pensavamo al salto in serie C2 anche se andavamo forte. Forse eravamo immaturi ma stavamo costruendo quello che poi sarebbe arrivato agli inizi degli anni novanta con la storica promozione in serie C.

In quegli anni di Interregionale il Fiorenzuola affrontava fra le tante il Chievo e il Sassuolo. Che effetto fa vederle oggi in serie A e serie B ?
Il Chievo a quei tempi giocava sul campo dell’oratorio e c’era Giovanni Sartori come centravanti, oggi fra i più ambiti dirigenti della serie A. Il Sassuolo ai tempi era già di proprietà di Squinzi ed era appena retrocesso dalla C2. Oggi, fa senza dubbio effetto vedere queste due provinciali nostre vecchie conoscenze dell'Interregionale anni ottanta, nei piani alti del calcio nazionale. Posso affermare che se ci sono loro non mi sorprenderei se ci fosse anche il nome del Fiorenzuola.

Ernesto Meraviglia e Eugenio Ghiozzi, i tuoi ex compagni di squadra. Chi era fra i due il più matto?
Il più matto era senza dubbio Gene. In termini di bizzarria anche Ferrari che per me era come un fratello, non era da meno. Così come il portiere Santi che noi chiamavamo “tenaglia” per prenderlo in giro quando a volte gli scappava il pallone. O Andrea Mazza che veniva dalla serie C. Meraviglia era particolare e in campo molto estroso. Avrebbe potuto fare altre categorie. Su Meraviglia ho un aneddoto divertente. C’è stato un periodo dove Gianni (lo chiamavamo tutti così) non mi poteva vedere. Allora io gli dissi: cosa c’è Gianni che sei sempre scontroso con me. Lui mi rispose: non ne posso più di te, vado a casa alla domenica e mia moglie mi chiede cosa abbiamo fatto? Io devo sempre rispondere che abbiamo vinto ma che a fare gol non sono stato io ma sei stato tu, Bertelli. Una, due, tre volte, sempre così. Alla quarta volta, aspetto che la moglie mi chieda chi ha fatto gol. E lei stavolta niente. Meraviglia aveva numeri da altra categoria e soprattutto non si faceva mai male una volta. Forse non riusciva a nessuno di prenderlo e lui andava via a tutti. Per uno come lui, con il suo fisico incerto, una caratteristica davvero importante.

Com’era il rapporto con i sostenitori in quegli anni? Come si viveva il calcio attorno a voi?
Ci erano tutti molti vicini. Ci portavano al bar sulla curva del ponte dopo le partite. Credo si chiamasse Bar Cigala. C’erano allora come oggi i sostenitori fedelissimi (come il nome del club) e i bastian contrari come da tutte le altre parti, ma devo dire che si stava bene da voi, e sono felice nel sapere che diversi tifosi di allora seguono ancora assiduamente il Fiorenzuola. Ricordo che nelle partite contro il Fidenza per farvi un esempio il pubblico era presente in piedi fino attorno a entrambe le curve. I campi più caldi erano Lecco e Sant’Angelo. A Lecco io e Hubert Pircher che eravamo gli attaccanti giocavamo davanti a un muro: la curva occupata dai sostenitori di casa. Tutta la partita con loro a gridare cori offensivi contro Pircher che ricordavano calciatore in serie A nell’Atalanta. Pircher era davvero esasperato. “Rambo” Ravasi a un certo punto sotto il loro settore fa partire una gomitata che provoca la frattura del setto nasale a un loro giocatore. L’arbitro non vide il gesto ma ci bloccarono negli spogliatori a fine gara per un paio di ore perchè i tifosi lecchesi aspettavano l’uscita del nostro pullman che fu scortato dalle forze dell’odine. Perdemmo quattro a zero davanti a oltre tremila persone. Anche a Sant’Angelo Lodigiano non fu facile. I loro sostenitori si ricordavano del nostro 5 a 3 in rimonta dell’andata. Perdemmo la gara di ritorno uno a zero e alla fine andò bene a tutti così. Anche a Chioggia, ospiti della Clodia Sottomarina trovammo un ambiente “caldo”. Altra sfida molto sentita per noi era il derby con la Castellana nei campionati di Promozione. Ricordo un pubblico numeroso e di difensori avversarsi che badavano più a menare che a giocare al pallone. In uno di questi derby rientravo dopo l’infortunio al ginocchio. Trovai il gol in mischia. Un gol liberatorio e indimenticabile.

Hai fatto reparto con Talignani per diversi anni. Com'era la vostra convivenza in area di rigore? 
Mi trovavo bene con lui. Talo aveva un tiro eccezionale. Avrebbe potuto giocare sicuramente in categorie superiori all'Interregionale. Ma forse in quegli anni non aveva ancora la testa per il professionismo. Una domenica, in Veneto, contro la Contarina se non ricordo male, aveva segnato tre gol in una sola partita. Due su punizione e uno da fuori area. Ricordo che lui con insistenza cercava anche la quarta marcatura. Ero stato sostituito e mentre guadagnavo l’uscita ero nei pressi della porta avversaria e vedo il loro portiere in uno stato di agitazione incredibile perché Talignani si stava preparando a calciare l’ennesima punizione. Dalla distanza di 30 metri colpì il palo.

Finiti i campionati si iniziavano i tornei estivi…
Si, erano molto sentiti soprattutto il Libertas di Piacenza e quello di Paderno di Cremona sempre a sette dove la finale richiamava ogni anno circa tremila spettatori. Erano appuntamenti anche per vedere all’opera calciatori, intrattenere trattative di mercato. Si giocava a giugno e a luglio. Ricordo che c’era un imprenditore bresciano che fabbricava calzature estive che un anno voleva vincere a tutti i costi. Tutti gli dicevano che per vincere bisognava prendere Villa dietro e Bertelli davanti a fare gol. Riuscì ad ingaggiarci pagandoci anticipatamente i rimborsi delle cinque partite già agli inizi di maggio. Al torneo di Romano di Lombardia giocai in squadra con calciatori professionisti del calibro di Prandelli, Suardi e Finardi. Loro mi dicevano che dovevo restare io, anche se ero l’unico calciatore dilettante del gruppo, capitano della squadra. L’ultima estate prima che lasciassi Fiorenzuola, ricordo che l’amico Renato Villa mi chiese di andare a giocare con lui all’Orceana in serie C2 che era interessata a me. Avevo già trent’anni e decisi di non accettare. Ricordo che una volta, dopo una partita, portai a cena la fidanzata, diventata poi la mia futura moglie, perchè avevo segnato 9 dei 13 gol realizzati dalla mia squadra. Una sera il portiere Marchesi che difendeva i pali del Crema se la prese con me perché diceva che io segnavo anche quando calciavo male il pallone. Forse non aveva tutti i torti. Io la porta, in un modo o nell’altro la vedevo sempre.

Nei campionati dilettanti di gol ne hai segnati veramente tanti con la maglia numero undici. Hai mai sognato di giocare in serie C? Hai rimpianti?
Assolutamente. Rimpianti non ne ho. Non mi posso lamentare. A quindici anni giocavo ancora all’oratorio del paese e se non fosse stato per il postino di Casalmorano che un giorno mi prese e mi portò allo Juventus Club di Cremona non sarei diventato quello che sono stato. Nella categoria Allievi e nella Juniores della Leoncelli avevo segnato 25 gol per campionato. Ho iniziato da subito a fare tanti gol anche in prima squadra. Ho avuto due infortuni seri ma in qualche modo sono sempre riuscito a ripartire, a rialzarmi, vincendo campionati e classifiche cannonieri. Due “treni” li ho avuti e sono passati. Forse mi è mancato l’input nella testa per diventare un calciatore professionista. Ma lo ripeto, sono felice così per quello che ho ottenuto nel calcio e nella vita.


Sei tornato allo stadio Comunale il 16 dicembre per assistere alla sfida tra Fiorenzuola e l’OltrepoVoghera squadra dove milita tuo nipote. Com’è Andrea Bertelli? E come vedi la serie D di oggi.
Andrea figlio di mio fratello, sembra nato per giocare a calcio. Ci sta mettendo un grande impegno. Dopo l’esperienza al Milan, è passato all’Enotria e poi all’Ausonia prima di approdare in serie D all’OltrepoVoghera. Fisicamente non è un colosso ma sa ricoprire bene tutti i ruoli di centrocampo. Ha delle qualità e sembra avere la forza di volontà e quell’input di cui vi ho parlato e che è mancato a me per diventare calciatore professionista.
Per quanto riguarda l’attuale serie D, non sono molto d’accordo sulla regola dei giovani da schierare. Ho allenato per dieci anni a Soresina e i giovani di 16 anni li ho sempre fatti giocare senza obblighi perché quando un giovane ha qualità e sa giocare a certi livelli esca da sé. A volte mi stupisco su certe situazioni. Vi faccio un esempio: Andrea Corbari oggi protagonista nel Fiorenzuola in serie D. Ha giocato sette anni fra Promozione ed Eccellenza senza che nessuno si sia accorto di lui. A mio avviso nel calcio giovanile di oggi passa molta disinformazione.

Grazie di cuore per tutto Danilo,
dal blog e da Fiorenzuola

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