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sabato 30 maggio 2020

"L'Extraterrestre" SANDRO MELOTTI si racconta sulle pagine del blog


"L'Extraterreste" epiteto scelto dal giornalista fiorenzuolano Filippo Ballerini nel tessere le gesta di Sandro Melotti negli articoli del lunedì del quotidiano "La Cronaca". Sono passati quasi quindici anni ma i ricordi dei tifosi rossoneri restano intatti. Melotti, l'uomo "tuttocampo", il giocatore di altra categoria del Fiorenzuola che strabiliava le platee dei campi di serie D ed Eccellenza dopo tanti anni da professionista. 
"Extraterrestre portami via" canta Eugenio Finardi imbracciando la chitarra. A Sandro chiediamo di tornare per una volta extraterrestre e portarci con la mente a rivivere i ricordi più belli in rossonero, ripercorrendo le tappe della sua carriera.

Perché quella di SANDRO MELOTTI è una storia che merita di essere rinarrata. Una storia come tante di calciatori che non sono arrivati alla serie A ma si sono tolti delle grosse soddisfazioni regalando emozioni a molti appassionati sportivi. 
Una storia con al centro una passione sbocciata su quei campetti di paese che non esistono più. Il campetto di questa storia è quello dietro le scuole di Sorbolo, nella bassa parmense. Con gli zaini a fare da porta, andando a fare il portiere a turno. Figlio unico, papà Lino è patito di Pallone. La prima maglia da calcio ha i colori rossoblù della squadra del paese: il Sorbolo Calcio. A 12 anni passa al Viadana poi Gianni Erminetti già collaboratore dell’Inter si accorge di lui e lo porta a Suzzara dove in breve tempo esordirà in prima squadra in serie C2, agli ordini di Busatta (ex tecnico anche del Fiorenzuola n.d.r.).
MELOTTI prima con il 10 poi con il 7 sulle spalle è stato più di un capitano a Fiorenzuola. Ha rappresentato un simbolo per intere generazioni di Fiorenzuola.

Sandro, il calcio è cambiato ma dobbiamo ammetterlo: ci manchi tanto in mezzo al campo. Giocatori come te non ne fanno più, e per questo vorremmo ripercorrere assieme la tua storia

Due spareggi per la serie B con le maglie del Gualdo e del Brescello…
A Gualdo, facevo parte di una squadra giovane che veniva dalla vittoria del campionato di C2. Agli ordini di mister Novellino giocavamo un bel calcio e avevamo chiuso il campionati terzi alle spalle della Reggina e dell’Avellino di Boniek. Della finale play-off di Pescara del giugno 1995 ricordo l’euforia dei tre/quattro mila nostri tifosi al seguito in mezzo a un mare di avellinesi. Una gara molto equilibrata. Siamo passati in vantaggio poi, causa un calcio di rigore giusto, abbiamo incassato il gol del pareggio e siamo andati alla lotteria dei rigori. La cosa strana è che nei cinque rigori gli errori erano stati dei rispettivi rigoristi (due per parte). Ad oltranza hanno vinto loro. Giocarsi la serie B a 22/23 anni non è cosa da poco; per la carriera di molti di noi vincere quella gara poteva rappresentare tanto. E’ stata una grandissima delusione. A volte mi riguardo le immagini ma non i calci di rigore. Avevo tirato il quinto, mettendo la palla alle spalle di Landucci. Non li guardo perché mi emoziono. Assieme al Fiorenzuola, porto Gualdo nel cuore per i 5 anni di militanza, in pratica la mia gioventù calcistica. E’ un posto che porto nel cuore e non dimenticherò mai.
Nello spareggio del Bentegodi dell’anno 2000, a venti secondi dalla fine dei tempi supplementari eravamo in serie B. Allo scadere il Cittadella pareggia strappandoci dalle braccia la promozione. La regola era cambiata, chi nella finale era meglio piazzato in caso di pareggio vinceva. Quell’anno al Brescello era stato particolare. Mi sono rotto la clavicola non riprendendomi bene fisicamente. La cosa bella è che a dicembre eravamo terz’ultimi e poi a maggio abbiamo chiuso al quinto posto staccando il pass per gli spareggi. Personalmente, non ero stato contento della mia stagione e avevo pagato un gol sbagliato a Lecco (non decisivo), nell'ultima di campionato. Quell’errore mi era costato una maglia da titolare nei play-off. Non l'avevo presa affatto bene non giocare nemmeno un minuto a 27 anni. Ma fa parte del calcio. La delusione per la sconfitta era stata diversa rispetto a quella vissuta con il  Gualdo, perché sono sincero, mi sono sentito tagliato fuori, sbagliando, perché un giocatore deve ragionare per la squadra e non singolarmente. Mi era dispiaciuto per tanti miei compagni. Evidentemente le finali play-off non facevano per me.

In un recente sondaggio, il tuo Gualdo 1994-95 è risulto la migliore squadra della storia del club biancorosso. Eri a Gualdo Tadino nell’anno del terremoto? Meglio giocare al Nord o al Sud?
Ho lasciato l’Umbria l’anno prima del terremoto, condividendo la tragedia tramite il racconto dei miei ex compagni e dei conoscenti. Un esperienza forte e sicuramente non facile, che aveva “fortificato” la squadra che si allenava di giorno e alla sera si recava al tendone per dormire assieme alla gente del paese.
Nei due anni di Ravenna, ad inizio carriera, avevo giocato poco. Nella primavera del 1992 mi contatta il direttore sportivo del Gualdo neo-promosso dall’Interregionale. Il Ravenna voleva che giocassi con più continuità e io volevo giocare. Senza sapere com’era e dov’era Gualdo, accettai e fu una scelta azzeccata.
Ripensando ai ricordi, rigiocherei tutta la mia carriera al Sud. I campi del Mezzogiorno ti danno tanti stimoli e una adrenalina particolare. Non so dirvi cosa significa giocare in una squadra del Sud ma da avversario è stato veramente molto bello. Al Nord è tutta un’altra cosa per calore, emozioni e cornice di  pubblico. La differenza l’ho notata parecchio avendo iniziato da giovane subito nel girone centro-Sud della serie C.
Melotti ai tempi del Brescello in serie C1

Del Neri, Novellino, Cavasin, Jaconi, D’Astoli. Riesci ad accostare una virtù e una cosa che ti ha trasmesso e che hai fatto tua da allenatore per ciascuno di questi tuoi ex mister
Del Neri martello pneumatico. Ero a Ravenna e avevo 19 anni e fino al giovedì non lo vedevo perché facevo il militare. Sul campo era un vero martello pneumatico che lavorava in maniera maniacale. Non mollava mai. Non l'ho apprezzato fino fondo molto perché ero giovane. Messo da parte in una squadra fortissima e non avevo l'età per capire determinate cose. 
Cavasin un personaggio. Nel vero senso della parola, con le sue concezioni, idee e i suoi integratori. L’ho avuto a Gualdo Tadino dopo Discepoli e venivo da un infortunio prima al ginocchio e poi al legamento della caviglia. Un allenatore indubbiamente preparato. Affabile, e con le sue fisse come tutti gli allenatore. Devastante in allenamento sotto certi aspetti, con sedute sempre al massimo. Quando faceva il torello non potete immaginare le entrare sulle gambe che faceva.
Jaconi da dimenticare. Del tecnico lecchese che detiene il record nazionale di promozioni, ben 11 (n.d.r.) non ho un buon ricordo. Ero arrivato a Castel di Sangro per fare la serie B in un gruppo che giocava assieme da tanto. Persona squisita che ha fatto carriera, però ho imparato da lui cosa non fare. Mi ha lasciato fuori dopo 7 partite che giocavo e non mi ha detto le cose in faccia. E le persone che non dicono le cose in faccia per me perdono. E ne ho avuto prova adesso che sono allenatore. Bisogna sempre dire le cose come stanno.
D’Astoli allenatore di valore. Un carattere tosto, forse fin troppo. Con lui nella prima esperienza al Brescello mi sono trovato benissimo. Mi ha insegnato tanto senza tanti giri di parole e sempre davanti agli altri. E  quando ragionavo capivo che aveva ragione e imparavo. Era preparato e focoso e si riusciva anche a scherzare. Ero partito benissimo dopo che avevo iniziato a fare quello che mi chiedeva. Subito tre gol e poi una maledetta operazione alla caviglia con un lungo tempo di convalescenza. Cambiava modulo senza problematiche, un pregio per un allenatore di quel tempo.
Novellino il top. Aveva un modo tutto suo per approcciarsi. A Gualdo ha fatto andare a mille una la squadra tatticamente perfetta che giocava di ripartenza, con un 4-4-2 ermetico. In campo ci trovavamo praticamente ad occhi chiusi.
Vorrei ricordare però che tutti gli allenatore mi hanno dato qualcosa, non solo quelli saliti alla ribalta. Da Busatta a Barducci, da Paolo Nicoletti a Bruno Nobili nel Gualdo. Anche nelle serie minori con: Baratta, Perazzi, Galli, Maia a Villanova e Bacchini a Noceto a fine carriera. Tutti mi hanno lasciano qualcosa. Tutti gli allenatori ti trasmettono qualcosa di importante. Sta poi ai calciatori capire. Quando sei giovane non è facile. Più passa il tempo e più percepisci le sfumature delle esperienze vissute, e in certi momenti quello che ti è stato dato ti viene utile. Per questo bisogna sempre guardare indietro.


Ti abbiamo visto fare cose incredibili su ogni zolla del Comunale. Ma a Melotti dove piaceva giocare?
In mezzo al campo come a Fiorenzuola. Da giovane ti mettono un po' di qua e un po' di là e dunque ho iniziato da esterno nel classico 4-4-2 del tempo, ma non avevo il passo. A trent’anni mi hanno messo in mezzo al campo. Davanti alla difesa o nei due di centrocampo a fare la mezzala, o dietro alle punte come nell’anno che ho realizzato 18 gol.

Nel 2002, biondo platino, decidi di lasciare i professionisti e dal Gubbio passi al Fiorenzuola. cosa ti aveva spinto a fare questa scelta?
Avevo avuto una richiesta dalla C2 ma era lontano, e siccome ero andato da solo a Gubbio mi pesava il fatto di essere lontano dalla famiglia. Ho chiesto a Riccardo Francani, allora Diesse del Fiorenzuola che già conoscevo, di poter aggregarmi al gruppo per la preparazione estiva. A Settembre mi è stato chiesto di entrare a far parte della squadre e senza esitare ho accettato la proposta del presidente Pinalli. Ha avuto così inizio una delle avventure che con quella di Gualdo hanno caratterizzato la mia carriera, riservandomi tante soddisfazioni ed emozioni. Il Fiorenzuola era appena retrocesso in serie D, non era facile ma in me era forte il desiderio di restare vicino alla famiglia. Ci siamo salvati ai play-out contro la Bergamasca. All’andata a Zanica avevamo sbagliato una miriade di occasioni da gol. Nella gara di ritorno siamo passati in vantaggio, poi pareggio, poi siamo andati sotto, raddrizzando tutto alla fine, tagliando un traguardo davvero importante.

Il secondo anno realizzi in rossonero 18 gol e molti fiorenzuolani si ricordano della vittoria in casa contro il Casale in 9 contro 11
Annata importante. Siamo arrivati a un soffio dai play-off che meritavamo di disputare, segnando per tutto l’arco della stagione raffiche di gol ogni domenica. Era una squadra giovane e un po' “pazza” che giocava sempre all’attacco e capitava a volte di incappare in batoste. Tutta la squadra girava bene e questo se accade permette al singolo di fare qualcosa in più. Ecco spiegato i miei 18 gol in campionato più 2 realizzati in coppa Italia nell’anno calcistico 2003-04.
Di Fiorenzuola-Casale ho ricordi limpidissimi. I piemontesi venivano da 17 risultati utili consecutivi. Una partita che aspettavamo perché all’andata avevamo perso 3 a 0, qualcuno di loro aveva fatto un pò il gradasso e noi non avevamo la fama di squadra molto raccomandabile. Siamo andati in vantaggio in 10, abbiamo retto per tutta la gara e poi vinto in 9, con una grande prestazione collettiva contro un avversario che poi ha vinto il campionato.

Fermi, Piccolo, Fumasoli, Colicchio, Marcucci, Lambrughi, Guglieri. Tanti ex rossoneri fanno le cosìdette fortune del Pizzighettone che fa la C2 e che vai ad abbracciare dopo l’esperienza di Fiorenzuola. Quali erano i segreti del “miracolo” Pice di Venturato?
Dopo i primi due anni fantastici di Fiorenzuola era giunta la possibilità di tornare a fare la C vicino a casa che per uno che ha sempre fatto i professionisti non è cosa da poco. Accettai sbarcando in una realtà che aveva perso i play-off contro la Cremonese l’anno prima. L’ossatura c’era poi, con alcuni innesti importanti come Coralli, Porrini e il sottoscritto potevamo ambire al primo posto ma siamo arrivati secondi con due punti in meno della capolista Pro Sesto allenata da Motta. Abbiamo completato l’opera andando a vincere i play-off contro Sassuolo e Valenzana. Credo non sia corretto parlare di miracolo Pizzighettone, ripensando a quegli anni. Era un gruppo di calciatori veramente forte capace di raggiungere la C1 grazie alla continuità di un lavoro iniziato alcuni anni prima.

Dopo Melotti, nel frammezzo Piva e Petrelli e infine al braccio di Guglieri la preziosa fascia di capitano del Fiorenzuola dei giorni nostri. Non gente da poco in questo gioco del destino. Che ricordo hai di Ettore compagno di squadra a Pizzighettone?
Ettore in quell’anno di Pizzighettore non aveva giocato tanto se non sbaglio. Veniva dall’esperienza di Voghera in serie D. Era giovane ma si vedeva già che era un ragazzo con doti tecniche e serietà. Tutte virtù che ha ampiamente dimostrato in carriera.

In finale, nella Bassa, vi sbarazzate della Valenzana, ed è serie C1, ma tu fai di nuovo ritorno a Fiorenzuola... una scelta di vita?
Non ero stato confermato. Qualche richiesta interessante dalla D era arrivata però a Fiorenzuola nei due anni che ero stato mi ero trovato veramente bene. Avevo lasciato il Fiorenzuola con un sesto posto in D ora lo ritrovavo in Eccellenza. Accettare di tornare mi era sembrata la scelte migliore, per cercare di dare una mano per risalire la china e non allontanarmi da casa. In fondo la categoria non è mai stata una prerogativa nelle mie scelte. Sono sempre andato dove, prima di tutto, mi trovavo bene e dove mi sentivo in sintonia con le idee di fare calcio delle società.

Svelaci i segreti del Fiorenzuola 2007/08 che si riprende la serie D
I segreti? Credetemi, eravamo veramente forti in un campionato molto difficile, con avversarie toste come: Dorando Pietri (che poi è diventato il Carpi di oggi), il Fidenza di Franzini e la Pavullese di Sasà Greco. Rispetto ad oggi, l’Eccellenza di quell’annata era molto competitiva. Eravamo stati bravi a fare gruppo, uniti nel molto difficile della stagione ovvero dopo Scandiano quando avevamo perso l’anticipo. E qui mi tolgo un altro sassolino dalla scarpa. L’unico appunto che faccio alla società in sei anni di Fiorenzuola. L’avere concesso l’anticipo agli avversari per l’impegno di coppa Italia, con noi in lotta per la promozione, dopo la sosta e quindici giorni di attesa non gestiti bene. Tornando alla nostra squadra, oltre alla coesione il gruppo era formato da calciatori fortissimi come: Franchi, Fermi, Valla, Lambrughi, Armani, Orrù e giovani interessanti come Critelli, Fantini, Zane e Luca Rosi che aveva segnato all’Anzolavino alla scadere ritrovandoci da terzi a primi in testa alla classifica nel giro di pochi minuti. Ma se ripenso ancora a quell’anno, bravi veramente bravi a restare unite nei momenti di difficoltà e le squadre che lo sanno fare vincono. Ora, parlando da allenatore sono sempre più convinto che la differenza la fanno i giocatori. Mister Perazzi fu veramente bravo nel compito non facile di tenere unito quel gruppo. I miracoli nel calcio non esistono, ve l’ho già detto. Esistono le squadre forti composte da giocatori forti che si allenano bene e danno tutto per i compagni. 

A 36 anni lasci il Fiorenzuola in serie D per sposare l'ambizioso progetto del Pallavicino in Eccellenza. Cosa è mancato alla società verdiana per raggiungere lo storico traguardo della serie D?
Si vado a giocare a Busseto, nel Pallavicino. Il primo anno eravamo gruppo con grosse potenzialità ma abbiamo pagato il ritardo nell'assemblarci come squadra. Quello poteva essere l'anno buono, ma nel finale il traguardo ci è sfuggito dopo avere rincorso la vetta. Nel secondo anno ricopro il ruolo di allenatore-giocatore e siamo stati una sorpresa del campionato. Nel terzo anno forse la squadra era stata sopravvalutata. Avevamo fatto bene nel girone di andata (secondi in classifica), poi i problemi fisici di alcuni giocatori, certi mugugni, e alcuni risultati negativi ci hanno tagliato fuori. Nonostante il mio esonero le cose non sono migliorate. In definitiva, il primo anno (stagione 2009-10) potevamo fare decisamente di più.

Oggi sei considerato uno fra i migliori allenatori dei dilettanti. Ti manca non avere iniziato il percorso da allenatore delle giovanili ?
Qui vi sbagliate. Quando ero a Busseto, nel Pallavicino, ho allenato la categoria Giovanissimi Fair Play di 12 anni di età. Un’esperienza bellissima ma devo riconoscere di non sentirmi portato per allenare i giovani della fascia di base. Devi insegnare tante cose, e non credo di essere in grado di dare quello che riesco a dare a una prima squadra; forse anche per come sono fatto caratterialmente. Sono convinto che è molto più difficile allenare i giovani nella fascia di base. All’estero per esempio, nei grandi club gli istruttori migliori sono dirottati alla guida delle formazioni del settore giovani. Poi mettiamoci i genitori che mettono pressione. Non fa per me. Quando ero calciatore ho sempre dato tutto per i compagni ma non avevo di certo un gran modo di farlo, lo riconosco. Però chi era con me sapeva che avrei dato tutto per il resto della squadra. I compagni ne avevamo la convinzione e accettavano il mio modo di fare un pò irruento. Il carattere che hai da calciatore te lo porti dietro anche in panchina. E anche per questo credo che allenare una formazione giovanile non faccia per me.

"le persone che non dicono le cose in faccia per me perdono" Sandro Melotti
le persone che non dicono le cose in faccia per me perdono" Sandro Melotti

Hai portato l’Agazzanese ad un passo dal sogno serie D, cosa ti è rimasto dell’esperienza in Val Tidone?
Ricordi stupenti di tutti e tre anni gli anni vissuti ad Agazzano. Dal primo anno di Promozione, alla salvezza in Eccellenza, agli spareggi play-off per la serie D nell’ultimo anno.
Un vero peccato essere stati tagliati fuori dalla differenza reti negli spareggi contro il Poggibonsi. Ma resta la soddisfazione di avere centrato un obiettivo che per l’Agazzanese è storia. Grazie a una squadra forte che ha saputo superato i momenti di difficoltà. Merito dei ragazzi che hanno sempre lavorato seriamente. Poi ancora oggi sento dire da qualcuno che siamo stati anche aiutati dalla fortuna. Fortuna? Siamo arrivati secondi dietro una Correggese stratosferica con una giornata di anticipo, lasciando dietro squadre importanti, con il secondo attacco del campionato. Se c’è stata fortuna dalla nostra parte ce la siamo andati prendere; e l’intelligenza delle persone sta nell’ammettere e dare merito a un gruppo di ragazzi che ha fatto qualcosa di veramente importante.

Come giocano le tue squadre?
Mi piace avere le due punte davanti. Centrocampo a rombo o con due uomini in mezzo, per cui prediligo il 4-4-2. Ad Agazzano per esigenze particolari sono passato al 3-5-2, un modo di giocare che non mi dispiace. Ai miei ragazzi chiedo molta semplicità; il calcio deve essere semplicità, non pretendo e non voglio complicarlo. Mi piace vedere la squadra andare in verticale. mi piace vedere fare giocare la palla, ma questa non deve essere indice di rischio. A volte le mie squadre arrivano in certi frangenti ad abusare dei calci lunghi ma questo ci permette di andare subito in verticale per creare occasioni e palle gol. In 4 anni, a questi livelli, credo che la mia filosofia abbia pagato. Personalmente adoro Klopp, che bada al gioco in verticale. Per me le partire si vincono tirando in porta e in queste categorie dove molti ti aspettano non voglio correre il rischio di perdere palloni e subire contropiedi.

A Bobbio quest'anno è andata molto bene vero? Com'è allenare in quota da quelle parti?
E’ andato sicuramente bene. Allenare in quota è come allenare dalle altre parti. Tre allenamenti a settimana, uno in alta Val Trebbia e due a Podenzano. Bobbio è un posto bellissimo, si sta veramente bene e si fanno le cose per bene che è uno delle cose più importanti quando alleni. C’è un gruppo dirigenziale che ci tiene molto, che ha voluto ripartire alla grande dopo la retrocessione in Prima Categoria. La società mi ha messo a disposizione una super squadra. Siamo arrivati a dodici giornate dalla fine, con dieci punti di vantaggio sulla seconda e una semifinale di Coppa Italia da giocare contro il Maranello. Prima dello stop per l’emergenza Coronavirus la squadra si stava comportando come la società si aspettava. Abbiamo fatto un pò fatica all’inizio perché quando parti per vincere devi inquadrare diverse cose, ma poi i valori sono emersi di un gruppo costruito per stravincere il campionato.

Trovi il tempo di seguire il Fiorenzuola?
Certamente. Il Fiorenzuola specialmente in questi ultimi anni è tornato a livelli davvero importanti, e non posso che esserne lieto. Quest’anno ho avuto la fortuna di seguire diversi allenamenti di Luca Tabbiani e sono rimasto veramente impressionato dal suo modo di porsi con la squadra. Aspetto che gli invidio molto. Con il suo modo di approcciarsi assieme ai suoi collaboratori, un staff sicuramente importante, riesce a mettere ciascun calciatore nelle condizioni di dare veramente tutto. Metteteci poi un Direttore Sportivo che considero “un fenomeno” per la categoria, una società solida, giovani bravi ed ecco spiegato tutto. Sono veramente molto contento del livello così importante raggiunto dal Fiorenzuola attuale.

Grazie di cuore SANDRO, per la bella intervista e per quello che hai dato sul campo per l'US FIORENZUOLA

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