venerdì 3 luglio 2020

Non si dica figlio di ...


Cantava Zero, ma non solo Renato. 
Va ammesso, lungo la storia qualche "figlio di ..." di troppo è voltato fra le mura del Comunale, all'indirizzo del cliente scomodo di turno. 
Negli anni d'oro di Tribi soprattutto. Ma non solo. Qualche trattamento speciale è oggi ancora ricordato senza grossi sforzi di memoria. 
Si era arrivati a mandare la vettura della giacchetta nera dal carrozziere di fiducia, in un Fiorenzuola-Spezia di fuoco. Poi per c'era un certo signor Gronda da Genova. Quando giungeva al velodromo ne succedevano di tutti i colori.
Il tema comune riemerge leggendo la bella intervista di Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport a uno degli irregolari del football: Alviero Chiorri. 
Uno che a Fiorenzuola è transitato forse solo in amichevole ai tempi della Cremonese di Luzzara. Di sicuro è transitato nel sonoro delle radiocronache delle radioline presenti al Comunale nelle domeniche anni ottanta dell'Interregionale. 

Nella bella intervista oltre alla storia dell'eclettica mezzala sinistra cubano si parla di cattivi del pallone, di ambiente surreali in stadi ribollenti degli anni 80', di dirigenti fuori dalle righe. Assaporandola, riaffiorano alla mente i modi ruvidi di "Rambo" Ravasi e Gianni Matticari con la maglia del Fiorenzuola, il carattere di Ciceri, i derby con il Fidenza, le entrate dure di Ottolina da avversario e tanto altro... 


[...] La mia bestia nera era Fabrizio Gorin, il biondo, un mastino, non a caso non ho mai segnato nei derby. Oltre a menare come un fabbro, limava i tacchetti. Era un’usanza di quegli anni. Dentro i tacchetti di legno c’erano quattro chiodi martellati che, a furia di limarli, spuntavano fuori. Quando prendevi una scarpata, il sangue si sprecava, la carne rimaneva attaccata al tacchetto. [...] 

[...] M’hanno gonfiato come una zampogna. Entrate da dietro, gomitate, botte, minacce. Ad Avellino, quello di Sibilia nel sottopassaggio spegnevano la luce e ti menavano proprio. A Carletto Mazzone gli hanno spento una sigaretta in faccia. All’epoca era permesso tutto, ogni domenica era una battaglia. Le ho prese, ma non ho mai reagito. Avevo imparato che funzionava così. [...] 

[...] Il più cattivo? Pasquale Bruno. Io a Cremona, lui al Toro. Fischio d’inizio, palla altrove, lui mi aspetta col ginocchio alzato e mi dà una stecca micidiale. Hai presente il Tardelli di quel Juventus-Milan? Uscii con un ematoma gigante. [...] 

[...]  A Cremona Luzzara era pronto a farmi un contratto di tre anni. Era il 90. Qualcosa scatta nella mia testa. Il buio totale. Avevo trent’anni e pensai di chiudere con il calcio. L’apatia totale, il rigetto di tutto, a cominciare dal calcio. Non mi allenavo, non mangiavo, da 77 chili ero sceso a 66. Facevo pensieri strani, vedevo mostri. Sono stato ricoverato in clinica due mesi. Mi hanno riempito di pasticche, sono arrivato a pesare 90 chili. [...] 



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