lunedì 2 febbraio 2009

LA TRAGEDIA DELL'HEYSEL

29 Maggio 1985, stadio Heysel di Bruxelles, stade du Heysel, Heizelstadion, finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e Juventus nel famigerato settore "Z" perdono la vita 39 tifosi juventini.
Le avvisaglie della baldoria della Grand Place, la responsabilità dei Reds animals inglesi, l'inefficienza della polizia belga, l'inadeguatezza dello stadio, le decisioni dell'Uefa.




La designazione dello stadio Heysel da parte dell'UEFA fu criticata da entrambi i club: la struttura era fatiscente, priva di adeguate uscite di sicurezza e di corridoi di soccorso. Il campo di gioco e le tribune erano mal curati, assi di legno erano sparse per terra, i muretti divisori erano vecchi e fragili e da essi si staccavano pezzi di calcinacci, le tribune di cemento vetuste e sgretolate. Lo scarico dei servizi igienici colava dai muri, contribuendo a renderli ancora più fragili.

Ai molti tifosi italiani, buona parte dei quali proveniva da club organizzati, fu assegnata la tribuna N, nella curva opposta a quella riservata ai tifosi inglesi; molti altri tifosi organizzatisi autonomamente, anche nell'acquisto dei biglietti, si trovavano invece nella tribuna Z, separata da due inadeguate reti metalliche dalla curva dei tifosi del Liverpool, a cui si unirono anche tifosi del Chelsea, noti per la loro violenza (si facevano chiamare headhunters, "cacciatori di teste").

Circa un'ora prima della partita, i tifosi inglesi cominciarono a spingersi verso il settore Z a ondate, cercando il take an end ("prendi la curva") e sfondando le reti divisorie: memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini, reazione che non avrebbe mai potuto esserci, dato che, come si vede dalla mappa a fianco, la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta. Gli inglesi sostennero di aver caricato a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori, juventini e non, impauriti, anche dal mancato intervento delle forze dell'ordine belghe, furono costretti ad arretrare ammassandosi contro il muro opposto alla curva dei sostenitori del Liverpool. Nella grande ressa che venne a crearsi alcuni, per evitare di rimanere schiacciati si lanciarono nel vuoto, altri cercarono di scavalcare ed entrare nel settore adiacente, altri si ferirono contro le recinzioni. Il muro crollò per il troppo peso, moltissime persone vennero travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d'uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due squadre che invitavano alla calma e in pochi si resero conto di quello che stava realmente accadendo. Mobilitato, un battaglione mobile della Polizia belga, di stanza ad un chilometro dallo stadio, giunse dopo più di mezz'ora per ristabilire l'ordine, trovando per il campo e gli spalti frange inferocite di tifoseria bianconera.

La diretta televisiva dell'incontro su Rai Due si apriva con il video volontariamente oscurato con il commento costernato del commentatore Bruno Pizzul che tentava di attribuire l'imprevisto a cause tecniche mentre nel frattempo il telegiornale della prima rete riportava le immagini degli incidenti e degli spettatori che cadevano a frotte nella scalinata, così che i telespettatori in attesa poterono apprendere della tragedia in atto. Pizzul manifestò tutto il suo disappunto per la decisione di disputare comunque l'incontro, promettendo al pubblico di commentarlo "nel modo più asettico possibile".

Gli scampati alla tragedia si rivolsero ai giornalisti in tribuna stampa perché telefonassero in Italia, per rassicurare i familiari. I morti furono 39, dei quali 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. Centinaia i feriti.

Si decise di giocare ugualmente la partita, poi vinta dalla Juventus; la decisione fu presa dalle forze dell'ordine belghe e dai dirigenti UEFA, per evitare ulteriori tensioni, con i giocatori di entrambe le squadre che erano a conoscenza di quanto avvenuto, come confermato da Boniek in una intervista.

Alcuni giocatori della Juventus, tra cui il suo leader Michel Platini, autore della rete decisiva, furono molto criticati per essersi lasciati andare ad esultanze eccessive vista la gravità degli eventi, ma la gioia durò poco: infatti lo stesso Platini il giorno dopo, quando tutti eran venuti a conoscenza della morte di 39 persone, dichiarò al giornalista RAI Franco Costa che di fronte ad una tragedia di quel genere i festeggiamenti sportivi passavano in secondo piano. Anche Giampiero Boniperti, presidente bianconero, affermò che di fronte a quella situazione non era il caso di festeggiare la vittoria. Nel 1995, in occasione del 10° anniversario della strage, Platini affermò in un'intervista rilasciata al quotidiano La Stampa che i giocatori erano a conoscenza solo parzialmente dell'accaduto, e che i festeggiamenti per la vittoria insieme al resto della tifoseria juventina presente allo stadio, quasi ignara della vera situazione, fossero gesti spontanei.

In una intervista Zbigniew Boniek ha dichiarato che non avrebbe voluto giocare quella partita e che non ritirò il premio partita per quella vittoria, mentre nel 2005 Marco Tardelli si è scusato per i festeggiamenti nel corso di un'intervista televisiva.

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Il 29 maggio 1985, prima della finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 persone (per la maggior parte italiani) muoiono schiacciate dalla folla, in seguito ad uno scontro tra tifoserie sugli spalti dello stadio Heysel di Bruxelles: il calcio europeo è sconvolto da una tragedia senza precedenti.

Gli sportivi e le istituzioni continuano tuttora ad interrogarsi sulla sicurezza, per il drammatico ripetersi di incidenti negli stadi, ed è scandaloso che ad oltre venti anni di distanza da una data nefasta come quel 29 maggio 1985 ben poco sembra essere cambiato: l'amaro insegnamento dell'Heysel e le volenterose promesse che ne scaturirono sembrano ancora disperdersi al vento.

Una lezione da non dimenticare
Festa, amicizia, fratellanza: lo spettacolo dello sport sa regalare agli appassionati emozioni intense: speranze, gioia e delusioni. La competizione ed un sano agonismo ripropongono in fondo lo spettacolo della vita stessa, hanno la capacità di aggregare persone sotto gli stessi colori e le bandiere, ma anche di riunire in momenti di celebrazione ed euforia collettive gruppi, o addirittura interi popoli, che per l'occasione mettono da parte gli attriti fino ad allora perduranti. Il calcio, la disciplina sportiva più capace di catalizzare l'attenzione di un pubblico ormai globale, in numerose occasioni ha saputo offrire lezioni di civiltà dall'importante valore simbolico riscattando magari la cecità di politiche irrigidite nei contrasti e nella tensione. Vi sono momenti, invece, dove la comunione sportiva lascia il posto al brutale istinto animalesco e ripropone, anzi amplifica, i conflitti, trasformando ciò che dovrebbe essere un evento felice e spensierato in un desolante teatro di violenza e distruzione. Non fa altro che accrescere il rimpianto, la constatazione che tragici episodi macchiati di sangue e ritenuti irripetibili, una volta passato lo shock, l'eco del momento, si ripropongano poi con inquietante regolarità, come se fosse impossibile imparare dal passato.

Come una festa si trasforma in tragedia
Bruxelles ospita per la quarta volta la finale della Coppa dei Campioni, il più importante torneo calcistico in Europa, dopo le edizioni del 1958, 1966 e 1974. A contendersi il trofeo sono il Liverpool, che intende riconfermare il titolo conquistato nella stagione precedente, e la Juventus alla quale ancora manca un'affermazione in questa competizione. Entrambe le squadre possono vantare un imponente seguito di fedelissimi tifosi, che hanno accompagnato i propri beniamini durante i vittoriosi gironi attraverso il continente; ai già numerosi sostenitori della Juventus si aggiungono i tanti italiani emigrati in Belgio, mentre i supporters inglesi sbarcano eccitatissimi in un numero quasi altrettanto considerevole e forse carichi di rancore per gli incidenti che avevano segnato la pur fortunata finale del 1984, disputata allo stadio Olimpico contro la Roma. Voci in seguito smentite vorrebbero agguerriti gruppi ultras di altre squadre inglesi, lasciate da parte le tradizionali divergenze, giungere a Bruxelles per cercare insieme una vendetta.

L'organizzazione dell'evento lascia però a desiderare, dato che alcune rimostranze si manifestano ancora prima dell'incontro: sia i due club che i delegati UEFA si lamentano delle condizioni fatiscenti dell'impianto, dove pietre, travi e calcinacci sono disseminati per le curve e le tribune, e per la decisione presa dalle autorità belghe di lasciare la vendita di un cospicuo pacchetto di biglietti libera e non regolamentata, quindi non controllabile; se agli italiani sono riservati i settori N, M, O, e agli inglesi le opposte zone X e Y, l'assegnazione del settore Z ad un pubblico neutrale (nei fatti vanificata dai circuiti di vendita non ufficiali) lascia presagire il pericolo che un eventuale contatto tra le tifoserie avverse possa degenerare in scontri violenti.

La giornata trascorre in un clima di euforia, ma la tensione aumenta all'avvicinarsi del fischio d'inizio: già fuori dei cancelli dello stadio una folla si ammassa per accedere alle opposte tribune, nella coda non tutti possiedono un regolare biglietto. Circa venticinquemila persone per ognuna delle due squadre vanno ad assieparsi sui gradini.
Quando un gruppo di tifosi inglesi abbatte le fragili recinzioni di protezione per assaltare l'area del settore Z occupata dal pubblico italiano, la polizia si mostra incapace di intervenire; mentre continua il lancio di pietre tra gli spalti, gli juventini (che non sono accaniti ultras, ma perlopiù famiglie) si riversano terrorizzati contro un muro di recinzione in cerca di una via d'uscita. Solo in pochi riescono a scavalcare e mettersi in salvo, mentre la pressione della folla nel panico trasforma la tribuna in una trappola, dove chi non si getta nel vuoto è calpestato o schiacciato contro il muro. Quando infine il muro crolla, dopo interminabili e terribili minuti, si apre un varco che consente al pubblico di riversarsi in campo per sfuggire al massacro, ma le forze dell'ordine tentano addirittura di respingerlo. Sono appena passate le 19.30: in breve tempo perdono la vita 39 persone ed oltre 600 vengono ferite, ma nel resto degli spalti e negli spogliatoi è difficile realizzare le tragiche dimensioni dell'accaduto.

Uno spettacolo desolante
Circa un'ora prima dell'inizio della partita, prevista per le 21.30, le autorità trovandosi davanti ad uno scenario apocalittico decidono di rispettare il programma e far giocare ugualmente le squadre per evitare ulteriori disordini e compromettere irrimediabilmente la sicurezza dei sessantamila presenti. Le pur contrastanti testimonianze di giocatori e dirigenti juventini confermano la loro riluttanza ad una regolare discesa in campo: la confusione che regna nel rincorrersi delle notizie li convince però ad accettare la decisione degli organizzatori e del Liverpool, per cui le squadre si presentano sul terreno di gioco immerse in un'atmosfera quasi irreale.
E' solo un rigore di Platini, assegnato per un dubbio fallo su Boniek al sedicesimo minuto della ripresa, a decidere il risultato allontanando così l'incognita dei tempi supplementari che possono aggravare la sciagura. Dopo il triplice fischio finale, il disastro sembra già dimenticato: i festeggiamenti dei bianconeri, costretti probabilmente a rispettare la parte per non innervosire i tifosi, innescheranno nei mesi successivi un'accesa critica perché sono poi accompagnate da altrettanta esultanza al momento del ritorno a Torino con la coppa, tanto agognata e così amaramente conquistata. Ancora oggi non è chiaro cosa sapessero i giocatori circa le proporzioni della catastrofe.

Stilato un bilancio definitivo delle vittime, dopo una intera notte di soccorsi, non rimangono più scuse per gli hooligans, che sono ritenuti responsabili dell'ennesima brutalità, l'ultima di una lunga serie: la UEFA e poi la FIFA decidono così di bandire per cinque anni le squadre inglesi dalle competizioni internazionali, ed il Liverpool ne sconterà effettivamente sei.
La giustizia belga sembra però trascurare le necessarie indagini e solo nel 1989 si arriva ad un processo che condanna quattordici dei ventisette imputati; verranno sollevati numerosi dubbi sull'arbitrarietà di una tale selezione. Lo stadio Heysel viene riservato all'atletica e dopo una decennale chiusura alle competizioni calcistiche viene demolito per lasciare posto al nuovo impianto intitolato al Re Baldovino, inaugurato nel 1996, che ospiterà anche le partite del campionato europeo del 2000. Se il Belgio vuole dimenticare, Juventus e Liverpool non possono: le squadre, trascorsi dieci anni di contatti e collaborazione reciproca, si incontrano per la prima volta dopo la finale maledetta nell'aprile 2005 e le tifoserie si scambiano gesti di conciliazione.

La violenza può essere sconfitta?
Questi segnali di amicizia e di maturità sembrano però destinati a rimanere isolati, come episodi che rievocano una memoria troppo grave e pesante per essere cancellata, ma che si scontrano con l'esperienza settimanale negli stadi segnata ancora da troppa, onnipresente violenza.
In Inghilterra, grazie a provvedimenti tanto radicali quanto inderogabili, il problema sembra essere finalmente ridimensionato, tanto da fornire un modello per l'Italia dove le difficoltà sono tuttora palesemente irrisolte. Tuttavia, gli hooligans non hanno mancato di dimostrare la loro aggressività in diverse trasferte all'estero, ed il successo dei provvedimenti attuati nel Regno Unito risiede piuttosto nella messa in sicurezza di impianti obsoleti. Infatti, a pochi anni dalla tragedia dell'Heysel, un disastro dalle conseguenze ancor più gravi colpisce la città inglese di Sheffield: la morte di 96 persone (tutti tifosi del Liverpool) nello stadio di Hillsborough, il 15 aprile 1989, costrinse il mondo del calcio inglese a fronteggiare più estesamente la questione per introdurre drastiche ed efficaci misure di sicurezza e ristrutturare gli stadi antiquati, quale in effetti era anche l'Heysel di Bruxelles.
Dopo i picchi di violenza conosciuti negli anni settanta e ottanta, il fenomeno hooligans non appare più drammaticamente preoccupante, forse anche per una certa rinuncia al sensazionalismo da parte della stampa, ma sicuramente per l'atteggiamento di fermezza e serietà intrapreso dalle istituzioni e dagli addetti ai lavori.

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La tragedia di Bruxelles
La coppa più triste, l'assurda strage consumata il 29 maggio 1985 sugli spalti dello stadio Heysel prima di Juventus - Liverpool, finale di coppa campioni.

Nell'incubo dello stadio Heysel i bianconeri vincono la coppa più stregata della loro leggenda. Doveva essere l'occasione per tifare Juve o Liverpool godendosi serenamente una serata di festa è invece è diventata una delle giornate più nere della storia del calcio.

Sono passati molti anni dalla tragica notte di Bruxelles, ma per chi in quegli anni era un ragazzino come me, quelle immagini non scompariranno mai dalla nostra mente.
Non se ne vanno, quella coppa. Non si muove da davanti agli occhi quell'urlo intriso di pianto di Platini dopo il rigore, Juventus - Liverpool quella che doveva essere la sfida dei più bravi si è trasformata in una maledetta notte.
Una notte fredda, nonostante quel sole d'estate che illuminava lo stadio.
Sembra di camminare ancora tra quei vestiti stracciati, i bastoni bruciati, i sassi, le bottiglie rotte, le chiazze di sangue. Come dopo una guerra, combattuta da una sola parte e senza un nemico.

Ma fu mai possibile organizzare una finale di coppa campioni in uno stadio simile? In un'arena più grande e più moderna nessuno sarebbe rimasto schiacciato contro le transenne.
E dov'erano le forze dell'ordine? Pensate tutta quella gente presa dal panico, accalcata verso le uscite, in preda a svenimenti, terrore e angoscia. Una vera follia scaturita dallo stato di ubriachezza dei tifosi inglesi, dalle sconcertanti lacune organizzative e dalle colpe della forza pubblica.

Durante gli scontri prima della partita, i giocatori bianconeri sono usciti tra la gente per invitare alla calma. Malgrado lo strage, si deciderà di giocare l'incontro, a dieci minuti della ripresa su preciso lancio di Platini, Boniek scatta verso la porta di Grobbelaar vanamente inseguito da Hansen e Gillespie. Il polacco viene sgambettato da dietro e l'arbitro svizzero Daina concede il rigore, Platini lo trasforma.

Ma, povera Juve, aveva tanto atteso quella coppa ed è arrivata nel peggiore dei modi. I morti furono 39, dei quali 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. Le squadre inglesi furono escluse dai campionati di coppa europei fino al 1990.